think global, act local

innovation20tagcloud2Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Glocale

Il Dipartimento promuove e coordina le attività di didattica e di ricerca nel campo delle varie aree delle scienze umane, della storia dell’arte, della progettazione grafica, dell’informatica, della storia e dei media studies.
L’attività di ricerca si pone in stretta relazione con il territorio, il mondo imprenditoriale e la rete italiana della ricerca scientifica.
L’interdisciplinarietà garantita dalla pluralità dei saperi presenti nel Dipartimento, costituisce un fondamentale elemento di valorizzazione e di integrazione tra ricerca e didattica a tutti i livelli di istruzione secondaria.

Ambiti specifici di ricerca
  • Scuola / formazione / università
  • Giornalismo / informazione
  • Radio / televisione / audiovisivi
  • Comunicazione pubblica e sociale
  • Processi di civic engagement
  • Comunicazione politica
  • Consumi e comportamenti culturali
  • Media, genere e generazioni
  • Tecnologie e media digitali
  • Urban studies
  • Famiglia / pari opportunità
  • Giovani, nuove culture e stili di vita
  • Marketing, management e comunicazione d’impresa
  • Territori / sviluppo sostenibile / comunicazione ambientale
  • Lavoro / mercati / professioni
  • Cultural studies / memoria / narrazioni
  • Segni / linguaggi / lingue settoriali
  • Loisir / turismo
Expertise

Il Dipartimento ha svolto progetti di ricerca in collaborazione con le seguenti istituzioni e organizzazioni:

locandinatelese locandinatelese

  1. perché glocale..

Il  termine glocale nasce dalla sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche planetarie di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati e l’agire locale, che tiene conto delle peculiarità e delle particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole operare.

Glocalizzazione è un termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali.

Il globale ed il locale possono essere visti come i due lati della stessa medaglia. Un’organizzazione può essere compresa meglio analizzando la natura duale della glocalizzazione. La glocalizzazione ritiene che il fondamento della società in ogni epoca è stata ed è la comunità locale, dall’interazione degli individui, organizzati in gruppi sempre più allargati, presenti su un territorio.

L’organizzazione di questi gruppi costituisce certamente un insieme di “sistemi” che diventano “sottosistemi” se relazionati a organizzazioni più complesse. Ad esempio, la famiglia è un sottosistema del sistema quartiere ma il quartiere è un sottosistema del sistema città e così via.

La glocalizzazione inizia la propria analisi dai sistemi semplici per arrivare ai più complessi, mentre la globalizzazione sembrerebbe privilegiare i sistemi complessi ignorando molto spesso le implicazioni dei sottosistemi.

La glocalizzazione pone al centro della sua “filosofia”, l’individuo, la persona umana, il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza. Non ignora la dialettica che deriva dall’incontro-scontro dei vari gruppi all’interno della logica sistema-sottosistema ma non perde mai di vista il micro nella sua relazione con il macro.

La glocalizzazione dà importanza alla comunicazione tra gli individui e i gruppi definiti nello spazio e nel tempo e a come le nuove tecnologie abbiano favorito una accelerazione nei processi di trasformazione. La glocalizzazione ritiene necessario sottoporre a seria analisi i contenuti della comunicazione, che mediati dalle nuove tecnologie possono soffrire di distorsioni, superficialità, banalità.

Un errore frequente è quello di credere che la glocalizzazione ponga l’accento soprattutto sul locale e la globalizzazione sul globale. Non è esatto in quanto la glocalizzazione, pur ponendo idealmente il micro gruppo alla base della sua analisi, è cosciente che esso cresce, si sviluppa, interagisce con gli altri gruppi sempre più complessi fino ad arrivare alle complesse realtà globalizzanti di oggi. Il significato della parola “locale” si espande di fatto inglobando senza confondere realtà locali che rimangono a tutti gli effetti sottosistemi significanti.

 

Intervista a Zygmunt Bauman sul vivere post-moderno

Segnavie2011 n. 1_Zygmunt Bauman – Identità liquide

2. i maker : vivere felici e moderni…

The Maker…

La controcultura maker è fortemente legata al movimento dell’open source. I suoi sostenitori ritengono che la cultura dei maker può essere alla base di nuovi processi di innovazione tecnologica e produttiva, emergenti dal basso e dispiegantisi su piccola scala. La riutilizzazione dei risultati, grazie all’adozione di licenze libere, potrebbe permettere di innescare importanti effetti virtuosi, in cui comunità crescenti di maker sperimentano nuovi approcci alla produzione basati su tecnologie a basso costo, anche su piccolissima scala o per un unico esemplare, fino a prefigurare una nuova rivoluzione industriale.

MARIA MONTESSORI Correva l’Anno

Il metodo montessoriano permette di realizzare qualcosa d’innovativo a partire dall’esperienza diretta. Non dovrebbero sussistere delle distinzioni culturali fra l’opportunità d’istruirsi ad altissimo livello e mantenere il contatto col lavoro manuale. Gli artigiani sono pronti alla sfida del digitale e il recente fenomeno dei maker sottolinea come non esista alcuna disparità d’importanza. Il web aiuta le realtà fortemente radicate sul territorio a farsi conoscere e ad aprire un mercato all’estero.

Nascita del fenomeno dei makers (artigiani tecnologici) che si sta sviluppando in tutto il mondo e che sta dando vita a veri e propri laboratori di fabbricazione (FabLab – Fabrication Laboratories), dove tutti possono pensare e realizzare i loro oggetti e le loro invenzioni.

 

World Maker Faire

3. un canale youtube …

Consideriamo siti internet sociali, quei luoghi virtuali che consentono di creare un proprio profilo, più o meno pubblico, all’interno di un sistema con regole condivise, comporre una lista di contatti, condividere con amici selezionati o con un pubblico indeterminato materiali o riflessioni, talvolta identificando anche nomi o parole chiave che li rendano più agevolmente rintracciabili.

UDA dal testo al video

Quando i social network hanno fatto la loro prima comparsa in rete, il grande pubblico degli altri mezzi di informazione li ha subito associati alla relazione sentimentale, all’avventura, alla sfera privata più o meno pubblicamente ostentata. In seguito, qualcuno si è accorto del loro potenziale informativo anche nell’ambito dell’editoria e dell’attualità e, fortunatamente, il discorso si è fatto più profondo e più interessante.

Ora, la scuola non può più fingere che si tratti esclusivamente di un fenomeno di costume, estraneo ad ogni valenza didattica o ripercussione educativa, e non può farlo per due serie di motivazioni, una relativa agli aspetti positivi del social, l’altra, doveroso ricordarlo, proprio in stretta relazione con quelli che sono gli eventuali pericoli e influssi negativi.

Chiariamo meglio, andando a distinguere le esigenze di informare proprie della scuola come comunità dalle esigenze più strettamente legate alla sua funzione formativa. Iniziamo dall’ambito dell’informazione. Occorrono cultura e consapevolezza, preparazione da parte di chi crea i contenuti e un sano spirito di partecipazione da parte di chi ne fruisce. Per prima cosa, la scuola dovrebbe valutare con attenzione la qualità del proprio intervento nel canale, con l’obiettivo di renderlo il più possibile alla portata di tutti. Conoscere i limiti degli utenti, d’altro canto, non significa gettare la spugna con rassegnazione: se è vero che non ha alcun senso la condivisione di video professionali quando il destinatario ha una connessione lenta, non è neanche così indispensabile per una scuola garantire alta qualità dei video, se si può comunicare lo stesso messaggio con un prodotto tecnicamente più leggero. La scuola è anche un ambiente abituato per vocazione professionale al patto con l’utenza, alla condivisione della pianificazione di un percorso; non dovrebbe quindi essere un problema per lei formare il proprio pubblico, attraverso occasioni formali ed informali, spiegando il significato e la funzione dei nuovi canali informativi. Se tutti i soggetti coinvolti li conoscessero meglio, infatti, si potrebbe produrre un aumento di pratiche esplorative, di condivisione e di conseguenza di informazione e sapere.

La comunicazione di una scuola tramite il canale youtube è finalizzata a:

  • Illustrare le attività.
  • Informare sul funzionamento.
  • Favorire la conoscenza di disposizioni normative e agevolarne l’applicazione.
  • Promuovere la semplificazione di procedure e la modernizzazione.
  • Conferire visibilità a momenti di integrazione tra la scuola e il territorio
  • Garantire agli studenti e ai genitori un’opportunità in più di partecipare attivamente alla vita della comunità a cui appartengono.

Caratteristiche del mezzo e normativa

La documentazione di attività resa disponibile con Youtube  non è semplicemente oggetto di erogazione, ma si inserisce potenzialmente in un circuito più vasto di pratiche sociali e mediali, perché si presta alla ricondivisione. Chi pubblica, anche quando lo fa come ente, costruisce una propria identità e ne rende disponibile ogni elemento rinunciando di fatto ad avere il totale controllo della sua diffusione.  Ciò è ovviamente tanto affascinante, quanto impegnativo. Ancora più suggestiva la considerazione dell’uso dei network come esperienza sociale che dovrebbe preludere ad un nuovo rapporto con l’utenza, di confronto attivo, di libero commento, di offerta di suggerimenti, secondo quanto proposto dalle  

Linee guida per i siti web delle PA, vademecum su PA e social media, che si possono scaricare in formato PDF da

http://www.funzionepubblica.gov.it/media/982042/vademecum_pubblica_amministrazione_e_social_media.pdf

e in cui si possono reperire tutte le indicazioni relative al quadro normativo di riferimento.

In altre parole, la scuola riuscirebbe veramente a presentarsi per ciò che è realmente anche nella rete: una comunità di persone che cooperano per la crescita e la formazione dei cittadini di domani. I social sono dunque, per chi sviluppa o gestisce siti scolastici, la risorsa per uscire dall’impasse assai poco veritiero del sito-vetrina, non meno che dal poco accattivante sito burocratico.

La rivoluzione tecnologica, poi, è ormai innegabile e spesso apprezzata, se non esplicitamente richiesta, da quelle giovani generazioni che partecipano, spesso inconsciamente, al fenomeno del progresso. La scuola ha dunque la possibilità, ma direi soprattutto la responsabilità, di entrare in un ambito il cui versante costruttivo, non superficiale, richiede di essere evidenziato e mostrato, di contro a una serie di applicazioni poco proficue per lo studente. Dato che si tratta di strumenti di conoscenza collettiva il processo che si può innescare è estremamente virtuoso, se le informazioni sono ben costruite e ricche di contenuto, ma resta vizioso se nessuno interviene a controbilanciare le banalità e il superfluo. E su questo punto la componente informativa e quella educativa del sito web scolastico possono arrivare a fondersi, per aprire nuovi scenari sul versante della didattica e dell’integrazione di risorse disciplinari e percorsi trasversali.

Youtube, offre la possibilità di creare un vero e proprio canale da sottoporre all’attenzione dei visitatori sul web. Si possono anche aggregare contenuti da un canale in modo automatico, ma se volete avere il controllo assoluto dei video pubblicati nel vostro sito e volete garantirvi un codice a prova di validazione, meglio scegliere personalmente i materiali da incorporare, e una attenta gestione dei contenuti pubblicati, con particolare riguardo alle norme sulla privacy e al rispetto dei diritti d’autore.

La ricerca della qualità

Naturalmente, la qualità e  l’efficacia di questa operazione di condivisione di informazioni  non dipendono solo dalla corretta esecuzione tecnica di questi passaggi. Si deve anche definire lo stile della propria comunicazione, presumibilmente tra l’educativo, orientato a indurre buoni comportamenti, a sensibilizzare su temi di comune interesse, e l’informativo, per le comunicazioni su attività ordinarie. Lo stile social è per lo più informale, infatti, ma un’istituzione scolastica è bene che calibri il proprio contributo, proprio per distinguersi dagli usi fatui e superficiali degli stessi strumenti.

Non è ancora una prassi obbligatoria, infine, ma fortemente consigliata, la stesura di una social media policy. In sintesi, si tratta di formalizzare – in un regolamento interno da un lato  e in una dichiarazione esterna dall’altro – l’insieme di norme a cui è sottoposto l’utilizzo di strumenti social da parte del personale della scuola, con particolare riguardo alla gestione dell’account ufficiale. Può sembrare un chiarimento superfluo, ma non lo è affatto, alla luce della frequenza con cui ricorrono account non ufficiali di enti e istituzioni, anche scolastiche. A ribadire che una buona politica di uso dei social a scuola non è ancora – e forse mai lo sarà – un insieme di prassi e regole costanti, ma un laboratorio di sperimentazione.

4. flipped lesson…

How to Flip the Classroom

Nella scuola tradizionale, quella in cui siamo stati formati tutti noi, l’insegnante utilizza il tempo che trascorre in aula con gli studenti per spiegare un determinato argomento. Ai ragazzi spetta poi il compito di approfondirlo a casa (attraverso studio personale, esercizi, ricerche) in attesa della lezione successiva. Un metodo standardizzato, pensato per la media degli studenti, ma che può risultare frustrante per quei ragazzi che apprendono con tempistiche diverse o che incontrano difficoltà nello svolgimento dei compiti a casa.

In una flipped classroom, invece, è l’apprendimento teorico che avviene a casa, utilizzando materiali didattici specifici elaborati dal docente, flipped-classroom secondo i tempi e le modalità di apprendimento del ragazzo. In questo modo, il tempo che l’insegnante trascorre in classe con gli studenti può essere dedicato a chiarire eventuali dubbi emersi durante lo studio, a svolgere esercizi guidati, approfondimenti, lavori di gruppo. Secondo gli ideatori (due docenti di chimica, Bergmann e Sams, del Colorado), ribaltare la didattica consente un miglior allineamento delle conoscenze e delle competenze tra gli studenti, oltre a migliorare la relazione educativa con l’insegnante. Ad oggi, questo metodo è ancora “sperimentale”, ma sono già emersi alcuni risultati incoraggianti.

Tale metodo didattico obbliga gli studenti ad una maggior responsabilità, a non assorbire più in modo passivo le lezioni ma ad avere una parte attiva nell’apprendimento. Studiando autonomamente, possono procedere al loro passo e non secondo i rigidi tempi dettati dalla didattica frontale: alcuni possono procedere velocemente, altri possono prendersi il tempo di riguardare la lezione tutte le volte di cui hanno bisogno finchè il concetto non sia sufficientemente chiaro.

Grazie alla flipped classroom gli studenti “imparano facendo” ed il fare avviene insieme all’insegnante: non sono più soli a casa, senza aiuto, quando incontrano delle difficoltà nello svolgimento degli esercizi. Si tratta di un metodo che stimola fortemente la capacità di lavorare in team perché ai ragazzi viene data la possibilità di lavorare in gruppo e di guardare le lezioni insieme, inoltre consente di sviluppare efficacemente il tutorato tra pari. Senza contare che, essendo il materiale didattico a disposizione degli studenti 24 ore su 24, 7 giorni la settimana, diventa meno problematica anche un’eventuale assenza da scuola.

Il metodo risulta essere più stimolante anche per gli insegnanti che diventano in questo modo dei coach, dei tutor che coordinano, sostengono, collaborano con i ragazzi. Utilizzare il tempo in classe per la pratica dà loro la possibilità di capire immediatamente dove risiedano le difficoltà per lo studente e correggere subito l’errore. coachI docenti inoltre possono adattare e aggiornare il materiale didattico prodotto (virtuale o cartaceo) a seconda delle esigenze dei propri studenti, e migliorare la propria professionalità attraverso il confronto col materiale d’insegnamento predisposto dai colleghi, imparando gli uni dagli altri.

Un ultimo vantaggio c’è anche per i genitori, che possono guardare le lezioni coi figli, rendersi conto dei corsi, rinfrescare le proprie conoscenze, e sostenere così in modo più efficace i figli durante l’apprendimento. La scuola tradizionale non è pensata per le nuove tecnologie, più facilmente applicabili invece ad un metodo educativo come quello della scuola capovolta. Gli studenti odierni percepiscono, e spesso mal tollerano, questa distanza tra la loro quotidianità e la didattica attuale. Nei prossimi anni il metodo di insegnamento andrà certamente adeguato ai tempi “moderni”, al futuro. Perché non considerare anche questa opzione dunque?

Teaching for Tomorrow: Flipped Learning

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Vantaggi:

  1. Soddisfazione immediata di studenti e famiglie.
  2. Tempo scuola interamente utilizzato alla applicazione ed al perfezionamento delle competenze.
  3. Possibilità di dedicare più tempo agli studenti in difficoltà mentre il resto della classe lavora su problemi e progetti più complessi.
  4. Possibilità di fare esercitare gli alunni più dotati su attività diversificate e complesse.
  5. Soddisfazione per i docenti nel momento in cui ci si accorge di poter lavorare con risultati di apprendimento molto superiori alla norma.

Svantaggi:

  1. Necessità di rivoluzionare completamente il metodo di lavoro (abolizione di lezioni frontali ed interrogazioni)
  2. Esigenza per il docente di un lungo training pedagogico e didattico e di discrete competenze informatiche.
  3. Necessità di un aumento del lavoro preparatorio delle lezioni e dei tempi di correzione delle verifiche scritte.
  4. Una volta provato non si riesce più a tornare indietro!

Una volta che gli studenti abbiano tutti gli strumenti per potere studiare in modo autonomo la chiave sarà dare loro un compito per il quale abbia senso studiare e per questo ci può venire incontro la progettazione per competenze. L’insegnamento capovolto consente quindi all’insegnante di assumere un ruolo di guida piuttosto che quello di un dispensatore di fatti e i ragazzi diventano elementi attivi dell’apprendimento piuttosto che un passivo ricettacolo di informazioni.

Perché funziona per motivare lo studente? Perché la motivazione umana dipende sempre da due spinte contrapposte: da un lato l’espressione di se stessi facendo le cose a proprio modo e con i propri tempi e dall’altro la possibilità di fare qualcosa perché sia utile per se stessi e per gli altri. Il compito del docente è anche quello di insegnare ai ragazzi ad esprimersi, guidandoli nelle difficoltà e dando loro un motivo per fare le cose. Flipped teaching è un altro passo verso questo importante obiettivo.

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