i laboratori: la flessibilità scolastica

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La scuola dei laboratori

di  Franco Frabboni

Le aule figlie

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca (Miur) nel redigere le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati (ex programmi didattici) per la scuola primaria – che insieme alla scuola dell’infanzia, funge da pilastro portante della riforma (legge n 53/2003) – prescrive “due lingue comunitarie e attività informatica per tutti..attraverso.un percorso obbligatorio di 900 ore annuali (27 settimanali e un percorso facoltativo organizzato in base alle necessità di apprendimento) sui moduli da 100-200 ore (da 27 a 33 ore settimanali)”. Il percorso obbligatorio, comprende sia attività disciplinari di classe sia attività di gruppi nei laboratori. E, ancora, il Miur teorizza – facendo proprie le analisi e i suggerimenti della letteratura pedagogica e didattica più avanzata – la dinamica classe/gruppi nel nome e nel segno dei laboratori; la classe con allievi di pari età è positiva, ma penalizza le punte estreme: i migliori e i peggiori. Bisogna quindi  prevedere una modalità di lavoro  che si svolga anche per gruppi i livello, di compito o elettivi. Per questo la riforma istituzionalista, accanto alla classe,  formula dei laboratori che servono gruppi di allievi, raccolti per istituto o, nei casi in cui e’ possibile e garantito, per rete territoriale.

Dunque la scuola della riforma alza il sipario  e da’ voce ufficiale alla scuola dei laboratori. Aggiungiamo qualche riga di riflessione e di progettazione pedagogica, per evitare che l’atteso ingresso “obbligatorio” dei laboratori tra le pareti scolastiche riproduca, sotto altro nome, pratiche  di lezione frontale, con la sola variante di gruppi più ridotti e di interclasse di allievi. Per questo daremo  luce alle identità  pedagogiche che vorremmo fossero poste sul portone di ingresso di una scuola intitolata ai laboratori. La letteratura scientifica in campo educativo trova larghe convergenze nell’attribuire il nome di laboratorio a una delle medicine più efficaci per combattere il duplice virus del nozionismo e della dispersione che spesso affligge la scuola del nostro paese. Ci riferiamo agli spazi didattici deputati  ad assicurale un assetto organizzativo di stampo  modulare: aperto, flessibile, polivalente.

Se si vuole evitare che la classe si tramuti in un ambiente relazionale e cognitivo totalizzante e autarchico, dovrà essere fatta sistematicamente interagire con altri spazi interni (di interclasse) ed esterni (le zone attrezzate all’aperto e le aule didattiche decentrate dell’ambiente naturale e socialculturale). La strategia formativa delle classi aperte punta  a un’organizzazione multispaziale e integrata del plesso scolastico : sia per le aule-classi (le aule madri) sia per le aule-interclasse (le aule-figlie: i laboratori). La pratica dell’interclasse si fa simbolo, pertanto, di una scuola che abbandona l’immagine di banca di conservazione e di erogazione dei saperi ufficiali, a favore di una sua nuova immagine culturale: quella di officina di metodo, di analisi – sistematizzazione (e reinvenzione) delle conoscenze contenute nei programmi nazionali. Va dunque acceso ” disco verde” alle classi aperte. all’open classroom, a una scuola popolata di laboratori, sotto il cui alfabeto vanno compresi tanto spazio-interclasse al coperto (gli angoli didattici, i centri di interesse, le aule specializzate, gli atelier laboratori multidisciplinari) quanto spazi-interclasse nel giardino o cortile o parco della scuola (zone attrezzate all’aperto).

Dunque nel concetto stesso e nella definizione di laboratori campeggia la sua macrofinalità pedagogica e didattica: l’interdisciplinarità. Infatti l’interclasse è il regno degli assi culturali trasversali, non rintracciabili dentro gli statuti disciplinari  dei programmi scolastici. Non solo trasversalità, comunque. Infatti l’attività didattica del laboratori puo’  assicurare presenza e sviluppo anche alle aree disciplinari postulate prescrittivamente dalla quota nazionale dei curricoli.  Conseguentemente,  ha il compito di condire il proprio menu’ didattico con l’intero set curricolare: l’area linguistico-letteraria, l’area matematico scientifica, l’area storico geografica, l’area tecnologica, l’area espressivo artistica. A queste, i laboratori potranno aggiungere quegli ingredienti  multidisciplinari che danno sapore e profumo ai piatti cognitivi sistemici, trasversali e relazionali.

E’ a partire da queste esigenze didattiche del curricolo che le strade empiriche dei laboratori si divaricano su due sentieri: uno disciplinare, l’altro interdisciplinare. Il sentiero disciplinare va intitolato alle grammatiche – sintassi (la padronanza delle competenze alfabetiche e logiche del sapere-capire-applicare) delle  singole discipline. l’obiettivo disciplinare  dei laboratori non è tanto quello di dare in pasto agli allievi cibi monocognitivi (già cucinati e consumati in classe) ma piuttosto quello di offrire loro alcune primizie metacognitive, reperibili nei processi  di comprensione-applicazione; ci riferiamo alle logiche interpretative e costruttive, indispensabili per identificare le caratteristiche delle conoscenze, per  associarle con altre preesistenti il che significa sapere  disporre logicamente  le conoscenze  accumulate in quadri interpretativi, per poi sistemarle e ricostruirle mettendosi  dal punto di vista disciplinare. Per ovviare alla carenza di spazi scolastici, occorre introdurre nei luoghi deputati ai laboratori un’organizzazione di  tipo modulare, facendo convivere , all’interno di uno spazio-ambiente, sia gli angoli disciplinari, sia gli atelier-laboratori  multidisciplinari. Così ad  esempio nello stesso laboratorio possono convivere e integrarsi  l’angolo dei linguaggi con l’atelier grafico-pittorico; parimenti possono fare l’angolo logico-matematico con l’atelier musicale e cosi via.

Il sentiero interdisciplinare, a sua volta, va intitolato ai processi di sistematizzazione-ricostruzione-integrazione delle conoscenze. Su questo tavolo costruttivista dell’istruzione si gioca una doppia partita formativa: la partita dell’integrazione dei saperi longitudinali (le discipline del curricolo) con i saperi trasversali (per lo più  antropologici e ambientali) e la partita cognitiva dell’integrazione dei metodi di ricerca (disporre di più strategie logico-costruttive significa-per l’allievo e per l’allieva-padroneggiare più punti di vista nel percorso di decostruzione-riparazione-ricostruzione-reinvenzione delle conoscenze scolastiche). In queste nostre pagine accenderemo i riflettori sulla dimensione pedagogica dei laboratori;in particolare metteremo in vetrina il loro guardaroba educativo, i loro abiti della festa, indossati in occasione del debutto dei modelli scolastici più innovativi avanzati tra questi hanno grande evidenza  la scuola attiva e la scuola a tempo pieno La nostra tesi , in proposito, e’ che i laboratori certifichino il bollino di qualità della scuola: dimmi che laboratori hai e ti dirò che scuola sei.

La carta di identità pedagogica

La carta d’identità pedagogica dei laboratori documenta due suoi segni di riconoscimento formativo Questi fanno tutt’uno con i due abiti che campeggiavano nel suo guardaroba pedagogico:l’abito sperimentale e l’abito cognitivo

La veste sperimentale

la scuola dei laboratori ha il merito di trascendere le pratiche di insegnamento -apprendimento rinchiuse e ibernate in metodi, cioè in  didattiche sequenziali alimentati da percorsi e materiali di insegnamento preconfezionati La  sede abituale di applicazione di un metodo e’  la  classe, per via del suo rituale allineamento degli spazi : banchi individuali, cattedra, lavagna libri di testo uguali per tutti. La prima veste che campeggia nel suo guardaroba pedagogico e’ di marca sperimentale. L’abito ha questa caratteristica : il laboratorio si presenta  fisiologicamente allergico alla camicia di forza di un metodo. Il linguaggio dei suoi spazi risulta   modulare e mobile , per via dell’alto livello di intercambiabilità degli arredi  e delle attrezzature. Per questo  il laboratorio accende risolutamente  disco rosso a qualsivoglia ipotesi didattica preconfezionata, ripetitiva ingessata. Come dire il laboratorio progetta e sperimenta le proprie  unita di apprendimento a base disciplinare   e i propri progetti didattici   a base interdisciplinare  tenendo conto della complessa  rete delle  variabili  – il suo stile sperimentale – che interagiscono nei processi formativi. In questa prospettiva lo stile sperimentale apre le porte a un duplice principio metodologico .il criterio di trasferibilità e la pratica plurale. Il criterio di trasferibilità risponde a questo interrogativo ,in quali condizioni e con quali procedure e’ possibile trasferire e riprodurre (con modalità non calligrafe, di mera fotocopia)un modello didattico in una sede diversa da quella che lo ha partorito? Quali segni distintivi deve possedere un’esperienza didattica, perche’ possa presentare  la qualità della trasferibilità

L’attività laboratoriale  si ricopre di cifre plurali( quindi di elavati coefficienti  di trasferibilita’) proprio perche’ dice  risolutamente no a modelli operativi mutuati da univoche teorie dell’apprendimento Soltanto la didattica plurilaterale che popola i laboratori e’ in grado di tenere conto della vitalità e della generatività educative presenti nelle diverse teorie  dell’apprendimento, che tendenzialmente postulano il sistematico ricorso ad una metodologia plurale nel fare scuola quotidiano. Per concludere nei laboratori si creano allievi Omerici. Qual e’ la carta d’identità del piccolo Ulisse che popola la scuola dei laboratori? Uno scolaro serio, concentrato, impegnato a dilatare i propri orizzonti di conoscenza e a esplorare mondi immaginari che assapora  una scoperta dopo l’altra e che autonomamente sceglie i propri itinerari di conoscenza e di creatività. Sono bambini che sanno osservare il mondo che li circonda e che sanno scrutare e  sognare  orizzonti lontani. Sono bambini che respirano a pieni polmoni il mito e la favola, ma che sanno  anche pensare e congetturare  con la propria testa. Sono scolari che non hanno più nulla di tolemaico (non sono piu’ soltanto destinatari della trasmissione delle conoscenze), ma hanno tutto di copernicano: la liberta’ della ragione è l’azzardo della fantasia.

 Panagiote_Simulazioni

Lo scopo di questo studio di caso è quello di far acquisire agli alunni della scuola secondaria di II grado (primo biennio), mediante un percorso didattico, le conoscenze, le abilità e i metodi necessari per utilizzare consapevolmente le simulazioni all’interno di attività didattiche. S’intende esplorare come in una classe laboratorio intesa come ambiente di apprendimento digitalmente arricchito l’uso delle simulazioni riesca a produrre spiegazioni, recuperare analogie appropriate alla comprensione, stimolare l’attenzione, promuovere il lavoro di gruppo, favorire l’interazione cognitiva coinvolgendo la classe nel suo insieme e contemporaneamente valorizzando il singolo alunno. L’impiego delle simulazioni sarà guidato da precisi metodi di progettazione didattica per essere efficaci. In più, si può aggiungere che le attività proposte si adattano a qualsiasi curricolo di scuola secondaria di I e di II grado e di scuola primaria.

 

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