viaggio nell’antro della sibilla

…del resto io stesso ho visto con i miei occhi la Sibilla di Cuma che pendeva da un’ampolla, e i ragazzi le chiedevano: “Sibilla, che cosa vuoi?”, e lei rispondeva: “Voglio morire”. Sat. XLVIII

Vignetta tratta da Storie di Palladio

Il titolo di Sibilla Cumana era detenuto dalla somma sacerdotessa dell’oracolo di Apollo, oracolo situato nella città magnogreca di Cuma. Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d’Averno, in una caverna conosciuta come l'”Antro della Sibilla” dove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell’antro, rendendo i vaticini “sibillini”.

Le Sibille erano giovani vergini (ma spesso figurate come decrepite per l’antichità del lignaggio), che svolgevano attività mantica in uno stato di trance. Alcuni nomi che ci sono rimasti delle Sibille cumane sono: Amaltea, Demofila ed Appenninica. Nel libro VI dell’Eneide, Virgilio, che la rappresenta “vegliarda” la chiama «Deifobe di Glauco» e «Amphrysia», appellativo originato dal fiume tessalo Amfriso, presso il quale Apollo custodì il gregge di Admeto. Nel poema la Sibilla Cumana ha la doppia funzione di veggente e di guida di Enea nell’oltretomba e la presentazione dell’oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt’uno a suggerire un’immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.

Alla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed ella gli chiese l’immortalità. Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala.

In Ovidio, inoltre, nel libro XIV delle Metamorfosi la Sibilla Cumana narra ad Enea del dono ricevuto da Apollo, di tanti anni di vita quanti i granelli di sabbia che era possibile stringere nella propria mano; dimenticando tuttavia di richiedere l’eterna giovinezza, la Sibilla era destinata a un invecchiamento lunghissimo nel tempo.

Dante, costante evocatore dei miti virgiliani, cita talora anche la Sibilla, con particolari riferimenti alla difficoltà di cogliere il filo dei suoi responsi:

« Così la neve al sol si disigilla,
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. »
(Dante, Paradiso XXXIII, 64-66)

Alla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed ella gli chiese l’immortalità. Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce. Apollo comunque le diede una possibilità: se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Però ella, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare».

In Ovidio, inoltre, nel libro XIV delle Metamorfosi la Sibilla Cumana narra ad Enea del dono ricevuto da Apollo, di tanti anni di vita quanti i granelli di sabbia che era possibile stringere nella propria mano; dimenticando tuttavia di richiedere l’eterna giovinezza, la Sibilla era destinata a un invecchiamento lunghissimo nel tempo.

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