… mentre sedeva tra tutti gli altri, casualmente,
gli capitò di ruotare il castone dell’anello verso di sé,
all’interno, verso il palmo della mano e, detto fatto,
divenne invisibile a quelli che gli sedevano a fianco,
i quali parlavano di lui come se se ne fosse andato …
PLATONE, PROTAGORA NARRA IL MITO DI PROMETEO
Nel "Protagora", il noto sofista di Abdera illustra la propria tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere in società, ha distribuito aidos (umiltà) e dike (giustizia) a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell'organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, come artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di queste due virtù "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all'uomo,bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è stato trasmesso in maniera consapevole, e non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si può render conto soltanto ex post: per questo è possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre non si può "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli.
Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei,
ma non le stirpi mortali.
Quando giunse anche per queste il momento fatale
della nascita, gli dei le plasmarono nel cuore della terra,
mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama
con terra e fuoco. Quando le stirpi mortali stavano
per venire alla luce, gli dei ordinarono a Prometeo
e a Epimeteo di dare con misura e distribuire
in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali.
Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo
la distribuzione: "Dopo che avrò distribuito
- disse - tu controllerai". Così, persuaso Prometeo,
iniziò a distribuire. Nella distribuzione,
ad alcuni dava forza senza velocità,
mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi,
mentre per altri, privi di difese naturali,
escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza.
[321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni
forniva una possibilità di fuga attraverso il volo
o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni,
invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza.
Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto,
con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza
in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi.
Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle
reciproche minacce e poi escogitò per loro facili
espedienti contro le intemperie stagionali
che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti,
di folti peli e di dure pelli, per difenderli
dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli
costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno,
al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni
mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure
e prive di sangue. In seguito procurò agli animali
vari tipi di nutrimento, per alcuni erba,
per altri frutti degli alberi, per altri radici.
Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali:
concesse loro, però, scarsa prolificità,
che diede invece in abbondanza alle loro prede,
offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie.
Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: s
enza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà
per gli esseri privi di ragione.
Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi,
e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo
per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri
viventi forniti di tutto il necessario,
mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi.
Intanto era giunto il giorno fatale,
in cui anche l’uomo doveva venire alla luce.
Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza
procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica,
insieme al fuoco - infatti era impossibile per chiunque
ottenerla o usarla senza fuoco - e li donò all’uomo.
All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica
necessaria per la vita, ma non la virtù politica.
[322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo
non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus,
protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto
nella casa comune di Atena ed Efesto,
dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza
del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena
e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo
abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra,
in seguito la pena del furto colpì Prometeo,
per colpa di Epimeteo. Allorché l’uomo divenne
partecipe della sorte divina, in primo luogo,
per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi,
cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei.
Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce
con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli
e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini
vivevano sparsi qua e là, non c’erano città;
perciò erano preda di animali selvatici,
essendo in tutto più deboli di loro.
La perizia pratica era di aiuto sufficiente per
procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta
contro le belve (infatti gli uomini non possedevano
ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica).
Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città;
ogni volta che stavano insieme, però, commettevano
ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo
ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano.
Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse
del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto
e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine
delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus
in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia
agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite
le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così:
se uno solo conosce la medicina, basta per molti
che non la conoscono, e questo vale anche
per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso
modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a
tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti
ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città,
se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia,
come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome
mio una legge in base alla quale si uccida, come peste
della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia».
[323] Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli
altri, quando si discute di architettura o di qualche altra
attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà
di dare pareri e non tollerano, come tu dici - naturalmente,
dico io - se qualche profano vuole intromettersi.
Quando invece deliberano sulla virtù politica -
che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza -
ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti
siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci
sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate.
Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti
un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini
ritengano che la giustizia e gli altri aspetti
della virtù politica spettino a tutti.
Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti,
come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta
o esperto in qualcos'altro e poi dimostri di non esserlo,
viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui,
lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia,
invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche
si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente,
a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra
situazione ritenevano fosse saggezza - dire la verità -
in questo caso la considerano una follia: dicono che è
necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti,
che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto.
Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia
partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano.
Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo
alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe.
Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù
non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di
insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente.
Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce,
affinché cambino, coloro che hanno difetti che,
secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso.
Tutti provano compassione verso queste persone:
chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole,
deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche
degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone
qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno
non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini
con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi
opposti, viene biasimato, punito, rimproverato.
(Platone, Protagora, 320 C - 324 A)
PREPARAZIONE LABORATORIO IN CLASSE
1) Divisione in gruppi
2) Distribuzione dei miti di Platone
3) Argomento: Sulla virtù e sulla giustizia
Dialogo: Protagora
Mito di Prometeo, Mito di Gige
4) Preparazione personale del materiale a casa
5) Laboratorio di gruppo in classe:
Rappresentare il mito in modo creativo attraverso
foto, video, messa in scena, disegno, costruzioni,
racconto di fantasia, saggio critico, presentazione digitale …
6) Lavoro a casa di sistemazione
7) Laboratorio in classe
Restituzione dei lavori.
ARGOMENTI DA TRATTARE:
La ricerca sulla virtù p.158,159,160,161,162,163
T10 - L'anello di Gige p.224,225