la noia

       … uno si annoia quando in una domenica pomeriggio 
         si cammina per le strade di una grande città …
         Heidegger 
Sera sul viale Karl Johan – 1892
Edvard Munch
Avete mai sperimentato la noia? In quali forme o circostanze?
Trovate che sia un sentimento doloroso e spiacevole, 
oppure tutto sommato piacevole o indifferente? 
Quali sono i modi più comuni di "ingannare il tempo"? 
Sono sufficienti ad abolire la noia? Perché? 
Esiste un rimedio efficace per combattere la noia o per guarirne? 
La noia come condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo, 
non è "oggettuale" = un venir annoiato da qualcosa o qualcuno. 
E' noia profonda, un modo di abitare il tempo. 
Aspirazione vaga alla felicità, affine alla malinconia, 
fino all'estremo fastidio della vita stessa, 
di cui si avverte il nulla.
Pascal distingue due forme di noia:
quella comune e superficiale, 
che cerchiamo di scacciare con il gioco, 
i passatempi, le occupazioni quotidiane;
quella profonda, che si rinnova allo spegnersi 
di ogni piacere, che ci fa percepire
il sentimento di nullità e di mortalità che ci caratterizza. 
La noia è il vissuto psicologico del tempo 
che sembra non passare mai.
Leopardi definisce la noia il desiderio della felicità 
senza soddisfazione nel significato romantico di rivelazione 
del nulla dell'esistenza e di desiderio vago della morte.

Qui l’esperienza non mi manca, da soddisfare alla tua domanda. A me pare che la noia sia della natura dell’aria: la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente. Così tutti gl’intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia.

Operette morali
Sartre usa la noia per definire la condizione sociale 
del mondo borghese, il senso di inutilità 
e di vuoto mascherato dal perbenismo e dal conformismo.

In via Tournebride non bisogna aver fretta: le famiglie camminano lentamente. Qualche volta si guadagna un posto perché una famiglia è entrata da Foulon o da Piégeois. Ma altre volte bisogna fermarsi e segnare il passo perché due famiglie appartenenti una alla colonna che sale e l’altra a quella che scende si sono incontrate e solidamente aggrappate per le mani. Io avanzo a piccoli passi. Domino le due colonne di tutta la testa e vedo cappelli, un mare dì cappelli. La maggior parte sono neri e duri. Ogni tanto i borghesi si salutano cerimoniosamente: si vede un cappello che s’invola in cima ad un braccio e scopre il molle luccichio d’un cranio; poi, dopo qualche istante d’un volo pesante, si posa. Si fa un alt: giusto sotto le ghiande si è formato un crocchio. Il mio vicino attende con pazienza, le braccia penzoloni; questo vecchietto pallido e gracile come una porcellana mi par proprio Coffier, il presidente della Camera di commercio. Pare che metta tanta soggezione perché non dice mai niente. Abita in cima al Poggio Verde, una grande casa di mattoni con le finestre sempre spalancate. È finito, il crocchio s’è disgregato, si riparte. Se ne è formato un altro, ma fa meno ingombro: appena formatosi s’è spinto contro la vetrina dì Ghislaine. La colonna non si ferma nemmeno, fa appena un leggero scarto; sfiliamo davanti a sei persone che si tengono per le mani: «Buongiorno signore, buongiorno caro signore, come sta?”

La nausea
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