kierkegaard

                             … quel singolo … 
In Decalogo 1 del regista polacco Kieslowski del 1988, la fede si confronta con la ragione sullo sfondo di un tema ad essa strettamente collegato anche in Kierkegaard, la morte.
  «Chiesi un colloquio con lei, lo ebbi il 10 settembre nel pomeriggio. Non ho detto una parola nell’ammaliarla: acconsentì. Ma il giorno dopo vidi, nel mio intimo, che avevo sbagliato. Un penitente quale io ero, con la mia vita ante acta e la mia malinconia… ciò doveva bastare. In quel tempo ho sofferto pene indescrivibili. La rottura avvenne due mesi dopo. Essa si disperò».
 «Era una fanciulla deliziosa, una natura amabile, quasi fatta apposta perché una malinconia come la  mia potesse trovare l’unica gioia nell’incantarla. Graziosa ella era veramente la prima volta che la vidi: graziosa nel suo abbandono, era commovente in senso nobile, non senza una certa sublimità nell’ultimo momento della separazione (…) un potere essa aveva: uno sguardo adorante, quando supplicava, che avrebbe potuto commuovere i sassi. E sarebbe stata una beatitudine poter incantarle la vita, una beatitudine vedere la sua beatitudine indescrivibile».
 Tu, la dominatrice “Regina” del mio cuore, nascosta nel segreto più riposto del mio petto, radice e pienezza del mio pensiero, che posta sei come a mezza via tra il cielo e l’inferno –oh divinità sconosciuta! Magari potessi credere a quel che dicono i poeti che già, alla prima volta che si vede l’oggetto amato, si crede di averlo visto molto tempo prima; che l’amore come la conoscenza è sempre un “ricordo”; che anch’esso per i singoli individui ha le sue profezie, i suoi tipi, i suoi miti, il suo Vecchio Testamento. Sul volto di ogni fanciulla io scorgo tratti della tua bellezza: ma dovrei, mi pare, possederle tutte per potere dalla loro bellezza estrarre la tua (…); tu mi sei così vicina, così presente, tu riempi con tale potenza il mio spirito che mi sento tutto trasfigurato e provo quanto sia bene per me starmene qui [Mt. 17,4].
 «La legge di tutta la mia vita è che lei ritorna in tutti i punti decisivi».
 «Socrate parla sempre di ciò che aveva imparato da una donna. Anch’io posso dire che devo tutto il mio meglio ad una ragazza; non l’ho proprio imparato da lei, ma per causa di lei». 
Alcune scelte decidono della nostra via, ad esempio la scelta del tipo di studi o quella del partner al quale saremo legati per molti anni. E dobbiamo scegliere "al buio" senza poter prevedere tutte le conseguenze. Più si procede nell'esistenza, più le scelte determinano il nostro futuro e la nostra personalità, aprono porte ma ne chiudono altre, definitivamente. Alla tua età forse di scelte decisive non hai ancora avuto modo di farne molte, ma già quella della scuola superiore, ad esempio, è tra queste. 
Descrivi una di queste e confrontati con i tuoi compagni. Ricordate di aver provato, mentre sceglievate, un sentimento simile all'angoscia di cui parla Kierkegaard?
Ti è capitato o ti potrebbe accadere di dover fare una scelta un salto, un aut-aut, un atto di volontà e di coraggio sapendo di dover rinunciare ad una delle alternative? Qual è stata la scelta più difficile che hai fatto?

PAURA, ANSIA E ANGOSCIA

Edvard Munch, Angoscia, 1894
In tedesco, i tre concetti sono espressi con un unico termine: “angst”. Questa parola ritrova una radice indo-europea in agh,
presente nel greco ancho (soffoco) e nel latino angina (dolore soffocante) in greco è anckos come sofferenza psichica e l’inglese ache, indica invece un dolore fisico. 
In italiano dalla stessa radice sono ansia e angoscia (e anche agonia). Sono tre diversi sentimenti per tre forme di sofferenza, intesa come disagio e repulsione al cospetto di un pericolo. Anatomo-funzionalmente la loro sede è comune ed è nel sistema limbico. La paura è data da un pericolo presente, determinato e identificato. L’ansia dall’aspettativa di un evento supposto come pericolo. L’angoscia è il sentimento sostenuto dal non presente, dal non determinato e non identificato, ossia dal niente. L’animale prova paura, ma non ansia e tantomeno angoscia. L’ente non parla più, diventa indefinibile, perde i suoi contenuti, diventa essere. Si esce da una dimensione ontica (dell’ente) ed entra in una ontologica (dell’essere) e quindi si passa dalla paura e dall’ansia (ontiche) all’angoscia (ontologica). E all'angoscia non vi è soluzione.
Il concetto di angoscia è centrale anche nella poetica del pittore norvegese Edvard Munch. 

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