aristotele, etica e politica

... se infatti identico è il bene per il singoli e per la città, sembra più importante e più perfetto scegliere e difendere quello della città; certo esso è desiderabile anche quando riguarda una sola persona, ma è più bello e più divino se riguarda un popolo e le città ...

INTRO

Le scienze pratiche riguardano il comportamento: l'etica ha come oggetto le virtù, che non sono oggettive come in Platone ma conservano la propria universalità; la politica si occupa della felicità collettiva, ma tra i due piani c'è una stretta relazione, perché non si può essere felici in una comunità infelice. Per questo particolare attenzione viene dedicata da Aristotele all'analisi della giustizia e dell'amicizia come virtù necessarie alla felicità. L'Etica Nicomachea è la raccolta basata sulle lezioni tenute da Aristotele dove vengono trattati questi argomenti probabilmente dedicata al figlio Nicomaco. 

BAGAGLIO

* Virtù in Platone
* Intellettualismo etico di Socrate
* Stato ideale di Platone
* Mito della biga alata di Platone

STRUMENTI

* Filosofia attiva, Loescher editore
* Mappe di sintesi 
* Eva Cantarella, La visione della donna in Socrate, Platone, Aristotele, in L’ambiguo malanno, Editori Riuniti, Roma 1981
* Intelligenza emotiva di Daniel Goleman

DESCRIZIONE

IL TESTO

ATTIVITA’

Quelli che hanno molti amici e che trattano familiarmente con tutti non sembrano essere amici a nessuno, scrive Aristotele. La nostra ricerca di amicizia e di condivisione nei social ha una motivazione narcisistica e si basa su rapporti virtuali indipendenti da quelli reali. Lo scopo è quello di fornire un'immagine di sé il più ideale possibile, quindi il tipo di relazione ha un valore puramente strumentale basato sull'utile e ha come scopo il piacere. Si può parlare, in questi casi di philìa?

IL FILM

Il film Il talento di Mr. Ripley, 1999, racconta la storia di Tom Ripley, un giovane di modesta provenienza sociale, disposto a tutto pur di diventare "qualcuno". Marge, è l'unica ad accorgersi dei suoi inganni ma non viene né ascoltata né creduta. L'intuito femminile non si può paragonare ai fatti: come molti uomini della sua epoca - gli anni Cinquanta del Novecento-, si sottovaluta ciò che viene detto da una donna, squalificandolo come intuizione vaga. I sospetti di Marge su Tom sarebbero anche suffragati da prove, tuttavia la ragazza non viene giudicata un testimone degno di fede a causa del suo genere sessuale. La filosofa inglese Miranda Fricker - esperta di epistemologia e di filosofia femminista - parla di "ingiustizia testimoniale". un fenomeno in base al quale non viene ritenuta credibile, e quindi viene ignorata, la testimonianza di chi appartiene a un determinato genere sessuale o ad una determinata categoria sociale. Marge, anche quando presenta buone ragioni a sostegno delle sue affermazioni, non è presa sul serio e viene considerata scarsamente attendibile, tanto che le sue accuse non sono reputate verosimili, perché, a causa della sua natura emotiva, ciò che sostiene non sarebbe razionalmente fondato.

DEVIAZIONI

LA VISIONE DELLA DONNA IN:
Socrate

Contrastanti appaiono i giudizi sulla figura femminile degli antichi filosofi greci. Scrive Eva Cantarella: «Socrate […] era particolarmente ben disposto verso le donne e non si limitava a riconoscere astrattamente le loro capacità, ma ascoltava i loro consigli giungendo ad ammettere senza difficoltà che alcune di esse avevano saggezza superiore alla sua.» Secondo la tradizione si sosteneva addirittura che Socrate avesse elaborato il suo cosiddetto metodo "socratico" nel condurre il dialogo dalla frequentazione filosofica con Aspasia, concubina di Pericle, che adoperava con «rara maestria la tecnica del discorso». Del resto Socrate, pur convinto, conformemente all'ambiente storico sociale del suo tempo, che non si potesse parlare di parità tra uomo e donna, sembrava tuttavia apprezzare le qualità del carattere femminile persino di sua moglie Santippe che egli si trovò spesso a difendere dagli stessi figli che mal sopportavano la severità della madre poiché, diceva loro che la di lei durezza era segno dell'amore verso di loro. Quando nel Simposio Aristippo gli chiede che cosa l'ha spinto ad unirsi con «la più bisbetica delle creature», Socrate, scherzando, osserva che per diventare buoni cavallerizzi bisogna esercitarsi con i cavalli più ribelli e non con i più docili, perché «se essi pervengono a domare tali cavalli, potranno governare facilmente gli altri.» Lo stesso Socrate però sembra apprezzare ben poco la presenza della moglie che manifesta tutto il suo dolore mentre egli attende l'esecuzione della condanna a morte ed anzi «... rivolgendosi a Critone: "Che qualcuno me la levi di torno e la riporti a casa". Alcuni servi di Critone, così, la condussero via, mentre lei continuava a smaniare e a battersi il petto.» Dialogando nel Simposio lo stesso Socrate dubita che, come sostiene invece Senofonte, la natura stessa abbia segnato una differenza sostanziale nella struttura materiale del corpo femminile facendolo più debole rispetto a quello maschile; invece egli è convinto che ogni differenza di sesso sia ininfluente per sostenere una minorità femminile che potrebbe invece essere riportata all’«educazione» ricevuta dalla propria famiglia di origine e dal marito.

Platone
Platone ha riconosciuto che l'estensione dei diritti civili e politici alle donne avrebbe sostanzialmente modificato la natura della famiglia e dello Stato ma, rispetto alle posizioni ideologicamente avanzate riguardo alla condizione femminile espresse nella Repubblica, opera una forte attenuazione quando tratta nelle Leggi del governo della città-stato. 
Platone nella Repubblica considera infatti la donna degna di ricoprire alte cariche nello Stato poiché l'unica differenza tra uomo e donna è la generazione dei figli e non ha importanza la minore forza fisica delle donne per le attività politiche e sociali e poiché «le facoltà sono state distribuite in maniera uniforme tra i due sessi, la donna è chiamata dalla natura a tutte le funzioni, proprio come l’uomo.» non esclusa l'arte della guerra per salvaguardare la città dai nemici. Resta però inteso che queste prerogative appartengono soltanto alle mogli delle classi dirigenti da cui sono state educate. Quando nelle Leggi Platone si occupa non più dello Stato "ideale" ma del governo di una città-stato storicamente realizzabile allora non mancherà la partecipazione femminile, poiché pur sempre «le donne costituiscono la metà della popolazione cittadina» e quindi occorre che «[…]la donna nella misura del possibile, condivida i lavori dell’uomo, sia nell’educazione, sia in tutto il resto» e quindi le donne potranno esercitare magistrature come ispettrici dei matrimoni, ispettrici dell’educazione infantile ma dovranno continuare a essere soprattutto casalinghe e non più esonerate dai lavori domestici come veniva descritto nella Repubblica.

Aristotele
Aristotele, che era stato allievo in gioventù dello stesso Platone, ha negato che le donne fossero assimilabili agli schiavi in quanto «oggetto di proprietà», sostenendo che vi è una «natura distinta tra l'essere femmina e l'essere schiavo», ma nonostante ciò egli ammetteva che le mogli potessero essere comprate alla stregua di schiavi e cavalli. Il filosofo stagirita ha anche sostenuto che la principale attività economica delle donne è quella di salvaguardare la proprietà di famiglia creata dagli uomini: il lavoro aggiuntivo delle donne nella proprietà non aveva però alcun valore od importanza fondamentale, perché «l'arte della gestione della casa non è identico né assimilabile con l'arte di creare la ricchezza in quanto l'uno usa il materiale che l'altro fornisce».
La teorizzazione più significativa della subalternità della donna è quella elaborata da Aristotele nella Politica: la funzione della donna nella famiglia è quella, imposta dalla differenza sessuale, di cooperare con il maschio ai fini della procreazione e della cura dei figli e della casa...se l'uomo si distingue dagli animali per il possesso della facoltà razionale, la donna si distingue a sua volta dall'uomo maschio perché dotata di una razionalità solo parziale e, per così dire, "dimezzata". La ragione e la competenza linguistica della donna sarebbero ristrette e limitate alla capacità di comprendere e obbedire agli ordini del capofamiglia. Anche nell'ambito della procreazione, alla donna è assegnato da Aristotele un ruolo secondario. Nel concepimento, la madre interviene infatti come materia, cui il padre imprime il suggello della propria forma. 
Nella Politica Aristotele scrive: «Tutti hanno le varie parti dell'anima, ma in misura differente, perché lo schiavo non ha affatto la facoltà deliberativa, la femmina ce l'ha, ma incapace e il fanciullo ce l'ha, ma imperfetta» 
quindi «[...] nell’essere vivente, in primo luogo, è possibile cogliere, come diciamo, l’autorità del padrone e dell’uomo di stato perché l’anima domina il corpo con l’autorità del padrone, l’intelligenza domina l’appetito con l’autorità dell’uomo di stato o del re, ed è chiaro in questi casi che è naturale e giovevole per il corpo essere soggetto all’anima, per la parte affettiva all’intelligenza e alla parte fornita di ragione, mentre una condizione di parità o inversa è nociva a tutti. Ora gli stessi rapporti esistono tra gli uomini e gli altri animali: gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti è giovevole essere soggetti all’uomo, perché in tal modo hanno la loro sicurezza. Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo». 
Nella Historia animalium lo Stagirita sostiene che la riproduzione è comune ad entrambi i sessi: infatti «...il maschio è portatore del principio del mutamento e della generazione...la femmina di quello della materia.» ma poiché «[…] la prima causa motrice cui appartengono l’essenza e la forma è migliore e più divina per natura della materia, il principio del mutamento, cui appartiene il maschio, è migliore e più divino della materia, a cui appartiene la femmina».
Se la ragione, considerata prerogativa maschile, ha una connotazione positiva, mentre le emozioni, considerate una debolezza femminile, hanno una connotazione negativa, si comprende uno dei motivi per cui le donne sono state oggetto di discriminazione e di esclusione da ruoli rilevanti nell'ambito della società e della cultura. 
Eppure, come il carro dell'auriga senza cavalli non andrebbe da nessuna parte, cosi la ragione senza le passioni non potrebbe raggiungere l'Iperuranio. Le passioni, dunque, non devono essere represse o estirpate. Anche il senso comune riconosce una certa utilità alle emozioni nell'agire quotidiano. Ad esempio, in una situazione minacciosa può rivelarsi cruciale per la nostra incolumità provare paura, perché ci induce a scappare Le emozioni hanno importanza non soltanto per la sopravvivenza, ma anche per l'agire sociale, fungendo da guida 
nei rapporti con gli altri e promuovendo comportamenti socialmente accettati.  La psicologia contemporanea ha teorizzato un tipo di intelligenza orientata alla conoscenza e alla valorizzazione delle emozioni: l'intelligenza emotiva. Secondo alcuni studi recenti, il nostro cervello sarebbe suddiviso in due emisferi tra loro comunicanti: quello destro presiederebbe all'interpretazione delle emozioni e quello sinistro sarebbe la sede delle capacità logico-deduttive. Le emozioni, dunque, alimenterebbero le operazioni della ragione, la quale, a sua volta, organizzerebbe gli input delle emozioni, il tutto in una felice sintesi di razionalità ed emotività. Insomma, essere emotivi, a differenza di quanto pensavano filosofi greci dell'età classica, non significherebbe affatto essere privi di razionalità.
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